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Il nome della cosa
Giuseppe Pizzi


GIL
Dicono i filosofi che nel nome di una cosa è racchiusa la sua essenza, ciò che è, ciò che vorrebbe essere e ciò che pretende di non essere. Per questo i capi del centrosinistra hanno discusso per mesi sul nome da dare alla loro unione, rischiando perfino di mandarla a monte prima di accordarsi, appunto, sul nome di “Unione”. Litigavano sul nome, ma in realtà si confrontavano sulla cosa, ovvero sul contenuto e sul significato della loro alleanza.
Lo stesso sta accadendo a Monza per il nome da dare al restaurato edificio ex Gil di piazza Castello. Come chiamarlo? A suo tempo, quando fu costruito, dargli un nome era facile, era la sede della Gioventù Italiana del Littorio e così venne chiamato, GIL. Il nome della cosa, appunto. Nel dopoguerra, vi andò in scena l'avanspettacolo, e prese il nome di teatro Smeraldo, e in seguito di cinema Smeraldo. Altra cosa, altro nome. Poi, per quasi mezzo secolo non è stato più niente, solo l'ex GIL o l'ex Smeraldo, un inutile rudere che si poteva nominare solo mettendo il prefisso ex davanti al nome di quando serviva ancora a qualcosa.
Oggi però il rudere è ridiventato una pregevole costruzione a disposizione della città e, preparandosi a nuova vita, attende un nome nuovo che rappresenti e in qualche modo anticipi le funzioni cui verrà adibito. Per il momento, quel che si sa è che è destinato ad ospitare l'Urban Center, e così viene più o meno provvisoriamente chiamato, Urban Center. Nome misterioso, cosa ignota, e tali resteranno fino a che rimarranno senza risposta due domande, che cosa sia un Urban Center e perché si usi questo nome per l'edificio di piazza Castello. Fortunatamente c'è la rete, si va sul sito del comune e ci si toglie la curiosità.
Detto fatto, ed apprendiamo che (1) c'è chi ci sta pensando, l'Urban Center rientra nelle competenze di una commissione consiliare (presidente Scalise Nicola), e che (2) alla manifestazione RisorseComuni della Fiera di Milano il comune di Monza ha presentato il progetto innovativo Urban Center descrivendolo così: ”Urban Center - Il centro virtuale della città, dove si attiva la partecipazione sulle grandi trasformazioni territoriali, sociali e culturali”.
Come si vede, non è che il comune sia prodigo di spiegazioni, tuttavia si intuisce che si tratterà di un ufficio, di un luogo d'incontro, di un ambiente attrezzato, dove si forniranno dati e notizie, si illustreranno e si discuteranno idee e progetti a riguardo dello sviluppo urbanistico di Monza, sviluppo inteso in senso ampio - architettura, economia, demografia, ecologia, cultura, sociologia - insomma una struttura pubblica per informare su passato, presente e futuro della città, diciamo un informatorio (mutuando la desinenza da oratorio, sanatorio, refettorio, consultorio, riformatorio, ambulatorio, ecc.), anzi un polinformatorio, per non trascurare la sua vocazione multidisciplinare.
Ora, supponendo di aver intuito bene la natura della cosa, rimane da capire la ragione del nome. L'ipotesi che Urban Center, come spesso accade per le cose moderne, sia un anglicismo internazionalmente accettato per designare tutti i “centri virtuali” delle città del mondo viene subito smentita da Google, che alla voce Urban Center cita di tutto, dalla casa editrice Urban Center Books di New York all'organizzazione caritatevole Jesuit Urban Center di Boston, dal campus Urban Center dell'università di Greenville nell'Illinois al progetto Urban Center per la pedonalizzazione di una zona di Seattle, per non dire del Saitama Urban Center, che è un centro direzionale dalle parti di Tokio, ma niente che faccia al caso nostro fino a che appare l'indirizzo del sito del comune di Milano, ed eccolo finalmente il “centro virtuale della città” di cui parliamo, definito come “il luogo istituzionale dove vengono presentate le grandi trasformazioni che interessano la città”, con sede nell'ottagono della Galleria, proprio nell'ombelico di Milano. Si dice Urban Center ma spunta il sospetto che sia la versione “milanglese” di un dialettale “cénter urbàn” suggerito dalla sua collocazione nel “bamborìn del vénter de Milàn”. Per di più, è l'unico a chiamarsi così, i suoi omologhi stranieri si chiamano ognuno a modo suo e nella propria lingua, dal Pavillon de l'Arsenal di Parigi al Deutsche Architektur Museum di Francoforte alla Madison Art Society di New York al Zuiderkerk di Amsterdam al Museu de L'art Contemporani di Barcellona.
A questo punto, se non per altro per non confonderlo con quello di Milano, è obbligatorio battezzare il polinformatorio di Monza con un nome diverso da Urban Center, e possibilmente con un nome italiano, e preferibilmente allusivo delle attività che vi si svolgeranno. Vivaio è una bella proposta, un riferimento suggestivo e quasi una promessa di fertilità e di crescita. La non-proposta alternativa di scolpire l'anacronistico nome GIL sulla facciata e di chiamarlo ex GIL farebbe del redivivo palazzo un monumento rievocativo, per gli uni dei riti patriottici che vi si celebrarono, per gli altri delle persecuzioni che vi si compirono.

Giuseppe Pizzi


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  19 marzo 2005